Current Mood: in attesa di un segno divino
Listening to: Something About Us - Daft Punk
Sì, lo so, lo so. Avevo detto che vi avrei portato la seconda parte ieri e invece, guess what, ve la porto con un giorno di ritardo. Cose che capitano. ⊙︿⊙
Non aggiungo altro perché sono stanca e non so che dire. [grida interiori randomiche che urlano il nome di Nezumi].
さようなら~
Capitolo 2 - parte 1
“Nonna…c’è
qualcosa che non va?”
La vecchia si
era raggomitolata su se stessa con il volto sprofondato tra le mani, piangendo.
Nezumi non l’aveva mai vista versare una sola lacrima prima di allora. Si
accucciò accanto a lei e le posò una mano sul ginocchio.
“Cosa c’è? Hai
fame? Ti fa male da qualche parte?”
La donna non gli
rispose. Quel suo singhiozzare silenzioso non si fermava.
“Avanti, dimmi
cos’è successo. Ti fa male qualcosa? Non stai bene?” Nezumi scosse il ginocchio
della donna. Era l’unica persona al mondo di cui poteva fidarsi e su cui poteva
contare.
Non voglio che tu pianga.
Non essere addolorata. Non essere triste. Ti prego,
nonna.
“Mi dispiace…”
Il pianto si fermò. “Che vergogna…ma non ce la facevo più…”
La mano della
donna si allungò per accarezzare la testa di Nezumi.
“La mia amata madrepatria
è così vicina. Eppure—ora, la maggior parte della foresta di Mao è perduta.
Quella città demoniaca si sta innalzando al suo posto. Rimane ben poco della
foresta in cui sono cresciuta, dove tua madre e tuo padre sono cresciuti, dove
te sei nato e cresciuto. Non possiamo nemmeno mettere piede nella foresta, ora
come ora. Eppure è vicina…così vicina…”
“Nonna…” Nezumi
toccò la guancia della donna con la punta delle dita e le asciugò le lacrime. Erano
sorprendentemente calde. “Non piangere. Non puoi piangere. Il tuo cuore si
indebolirà.”
La vecchia annuì
e scrutò negli occhi Nezumi.
“Lascia che ti
insegni una canzone.”
“Una canzone?”
“Sì. Tua madre
era la Cantante più importante di tutta Mao. Anche io lo ero—molti e molti anni
fa. Sono stata io ad insegnare a Cantare a tua madre.”
“Lo insegnerai
anche a me?”
La vecchia
guardò Nezumi dritto negli occhi e annuì fermamente, una volta sola. Non
piangeva più. I suoi occhi, ora asciutti, erano più scuri del cielo sopra di
loro. Quegli occhi color della pece riflettevano le fiamme del fuoco.
“Tu sei degno di
diventare un Cantante. Spesso andavi nella foresta e cantavi con tua madre. Te
lo ricordi?”
Nezumi scosse la
testa.
Tutti i ricordi
che aveva del periodo precedente al giorno in cui tutto fu disintegrato dalle
fiamme erano sbiaditi. Faticava a ricordare in modo chiaro.
“Solo…una voce.”
“Una voce, hai
detto?”
“Mi ricordo una
voce. Una voce che diceva—ti insegnerò una canzone di cui avrai bisogno per
continuare a vivere.”
Vieni qui.
Lascia che ti insegni una canzone. Ti insegnerò una
canzone di cui avrai bisogno per sopravvivere.
Non aveva forse
udito una voce pronunciare quelle parole?
La vecchia gli lanciò
uno sguardo stupito e la bocca le si contorse in una smorfia.
“Era…la voce di
tua madre?”
Nezumi rimase in
silenzio per qualche istante. Non riusciva a ricordare la voce della madre. Scappa—solo
quel grido conciso gli si era conficcato ostinatamente nelle orecchie e aveva cancellato
la sua voce mentre cantava e la sua risata. Ma anche se non se ne ricordava,
era certo di una cosa—quella non era la voce di sua madre.
“No. Non
era…umana.”
“…Capisco.” Un
sospiro le uscì dalle labbra contratte. “Capisco—la conosci già.”
“Eh? Non so
nulla. È come se avessi sentito quella voce in sogno.” Magari non era altro che
un sogno, un’illusione creatasi nel dormiveglia. Ma la vecchia scosse la testa
lentamente.
“Non era un
sogno. Tu sei un Cantante. La Dea della Foresta ti ha scelto.”
“La Dea della
Foresta…”
“Sì. È la
foresta stessa. È colei che benedice il Popolo della Foresta e che instilla in
loro anche la paura. È sempre al nostro fianco, veglia su di noi,
benedicendoci. A volte ci ferisce, distrugge, annienta.”
Distrugge e annienta. Intende col fuoco? Bruciava, strappava e bandiva ogni cosa fino
a portarla alla non-esistenza.
“No.” La vecchia
aveva intuito quello che stava pensando. Scosse la testa con veemenza come a
scacciare i pensieri inespressi di Nezumi. “Il fuoco è diverso. È un prodotto
dell’uomo. È il risultato della malvagità e dell’ingordigia umana. Non è lo
stesso tipo di distruzione portato dalla Dea della Foresta.”
La donna lanciò
alcuni rami secchi nel fuoco. Le fiamme crebbero leggermente. Il fuoco di
fronte a lui era gentile e calmo. Gli forniva calore per il corpo e per cuocere
il cibo.
“La gente di
quella città demoniaca ha raso al suolo la foresta. Hanno trasformato la dimora
della Dea della Foresta in cenere.”
“Anche la Dea
della Foresta è morta quel giorno?”
“La Dea non
muore. Non verrà mai uccisa dalle mani di un semplice umano. Le persone della
città demoniaca non conoscono alcun Dio. Non sanno della sua potenza. Non
provano nemmeno a capire.”
“Si chiama
No.6.”
“Cosa?”
“Quella città si
chiama No.6. Ho sentito qualcuno chiamarla così.”
“Chi?”
“Un viaggiatore.
Ha detto di essere un cantore.” Nezumi aveva incontrato un gruppo di persone
vestite di bianco mentre stava raccogliendo dei rami tra le lande deserte.
Ognuno di loro aveva una borsa bianca in spalla.
Gli avevano
detto che esistevano sei città-stato al mondo e che le persone si riunivano in
questi luoghi e attorno ad essi per vivere. Tra loro, No.6 era la più bella e
prospera, oltre ad essere la più isolata.
“Hai una bella
voce,” gli aveva detto un bardo a cavallo. L’uomo aveva occhi color nocciola,
lo stesso colore della terra nelle lande. “Una voce veramente stupenda. Se ti
alleni, potresti diventare un cantante di prima categoria. Che ne pensi,
ragazzino? Perché non vieni con noi?”
Nezumi avrebbe
mentito se avesse detto che non era per nulla interessato a quell’offerta.
Avrebbe potuto viaggiare
per il mondo, con gli strumenti e le canzoni come compagni. Libero dall’odio,
libero dal peso dei suoi ricordi, avrebbe cantato, recitato e danzato quanto
desiderava.
Nezumi era
profondamente allettato da quell’idea.
Aveva provato
una sorta di piacere come se avesse immerso il proprio corpo in una corrente
fredda e cristallina. Eppure, aveva fatto un passo indietro e scosso la testa.
Non poteva
andarsene e abbandonare la vecchia. E più di ogni altra cosa—non poteva andare
avanti a vivere e lasciare quella città priva di punizione. Non aveva
intenzione di gettare via quell’odio.
“Capisco. È un
vero peccato,” aveva mormorato il viaggiatore curvandosi oltre il cavallo. “Sono
sicuro che ci rincontreremo un giorno. Tu sei come noi. Non sei stazionario—sei
un tipo errabondo. Giusto per fartelo sapere, io ho buon occhio nel
vedere le persone per come sono realmente,” aveva riso.
Le sue lunghe
dita, adatte a suonare strumenti, avevano toccato il collo del cavallo. L’animale aveva nitrito. Si era poi
allontanato al trotto su quelle gambe grosse e robuste.
Il gruppo era
scomparso rapidamente dietro la nube di polvere e sabbia che esso stesso sollevava.
“No.6,” la
vecchia mormorò fissando il fuoco. “Il nome non ha importanza. Quella città, e
tutti quelli che vivono al suo interno, cadranno un giorno. La Dea della Foresta
non li perdonerà.”
I ramoscelli
bruciavano. Il profilo della donna era illuminato nell’oscurità dalle fiamme.
“La Dea della
Foresta non li perdonerà. Arriverà il giorno del giudizio anche per loro.”
“Significa che
non dovremo portare a termine la nostra vendetta?” Possiamo liberarci di
questo odio, del ricordo di quell’urlo?
“No, io
non dimenticherò,” disse la vecchia. “Io non getterò via questo odio. Potrebbe
essere…troppo tardi per me. Sono diventata troppo vecchia. Probabilmente non
vivrò abbastanza per vedere con i miei stessi occhi la punizione della Dea.
Ecco perché mi premierò da sola. Se potessi almeno accoltellarne uno—”
E la vecchia
aveva mantenuto la parola. Un coltello nella mano, era corsa contro il sindaco,
venuto a far visita al Penitenziario per un’ispezione. La donna non era
riuscita nemmeno a strappargli i vestiti, tanto meno accoltellarlo.
Le spararono al
petto, il coltello ancora in mano, e morì tra le braccia di Nezumi che era
corso al suo fianco. Era quasi un miracolo che non fosse rimasto ucciso anche
Nezumi con lei.
Fu catturato e
buttato nel sottosuolo, dove incontrò un uomo che si faceva chiamare Rou. Forse
Rou si era tenuto in contatto in qualche modo con la vecchia, perché sapeva
ogni cosa riguardante Nezumi e lo aveva accettato senza riserve.
“Ti trasmetterò
tutto il mio sapere,” aveva detto Rou. Assomiglia a quello che mi disse la
Dea, aveva pensato Nezumi ironicamente.
Tutto ciò
accadde due anni prima di incontrare Shion.
Nezumi smise di
guardare in alto nel cielo. I raggi del sole stavano perdendo rapidamente la
loro forza ed erano sul punto di affievolirsi definitivamente. Le giornate
erano brevi nel West Block e la notte arrivava presto. Da quando il cielo era
stato oscurato dalla figura incombente di No.6, il sole irradiava quelle terre
solo per poco tempo.
No.6 dominava
anche i cieli. Faceva a pezzi e divorava un mondo che non doveva appartenere ad
alcuno.
Nezumi si sfiorò
la schiena. Ancora adesso, a volte, gli martellava. La bruciatura pulsava come
ad intimargli di non dimenticare mai.
Non dimenticare.
Non dimenticare. Non dimenticare. Non dimenticare. Non dimenticare. Non
dimenticare.
Non dimenticherò. Non ci riuscirei, anche se volessi.
Disprezzava
No.6. Aveva ucciso suo padre, sua madre e la vecchia. Aveva dato fuoco alla
foresta e aveva massacrato il Popolo della Foresta. Non aveva mai esitato a
schiacciare vite umane sotto i suoi piedi se significava ottenere ancora più
prosperità per se stessa. Non desiderava una coesistenza, ma una sua supremazia
assoluta le cui fondamenta erano costruite su innumerevoli cadaveri.
Solo la sua
prosperità, la sua felicità, il suo piacere. Era una creatura mostruosa.
La detestava.
Quel vortice d’odio
quasi lo soffocava. Eppure—
Shion viveva in
quella città.
Per Nezumi, ogni
singola cosa a No.6 era stata bersaglio del suo odio. Non solo odiava i capi,
ma anche i semplici cittadini di quella città che trascorrevano delle vite
tranquille ma immeritate, ignoranti e senza mostrare nemmeno la volontà di
informarsi a riguardo.
Odio? Davvero? Allora riuscirai ad odiare anche Shion?
Nezumi se lo
chiedeva spesso.
Riuscirei a convincermi ad odiare Shion del tutto?
Ogni volta era
una domanda spiacevole. Quel gusto amaro che gli si diffondeva in bocca era
sufficiente a paralizzargli la lingua.
Il mio odio è così forte e la mia ferita brucia così
dolorosamente, eppure…
Iniziò a
camminare, ma si fermò nuovamente. Poteva sentire una melodia. Tese le
orecchie. Riusciva a sentirla. Nezumi accelerò il passo. Girò un angolo e fu
accolto da una pianura punteggiata da pietre e macigni. Al limitare di questa zona
si trovava un teatro—il luogo in cui lavorava.
Un uomo era
seduto sopra un masso bianco, suonando uno strumento a corde. Sia il lungo
cappotto che i pantaloni, il cui orlo arrivava alle caviglie, erano sbiaditi e
sporchi. Era impossibile dire di che colore fossero prima. Ma lo strumento tra
le sue mani era talmente splendido da catturare l’attenzione.
Quattro corde
erano tese su un oggetto a forma di melanzana e il corpo centrare catturava i
raggi del debole sole serale, scintillando. Se strizzava gli occhi, Nezumi
riusciva a vedere che su di esso erano incisi ghirigori intricati e che era
decorato con leggeri tocchi d’oro, d’argento e di grigio metallizzato.
Emetteva un
suono particolare. Calmo pur essendo limpido, il che trasmetteva una sensazione
nostalgica. Accarezzava dolcemente la tristezza che risiedeva in fondo al cuore
di ognuno. Ma non turbava quella malinconia—la leniva delicatamente.
L’uomo alzò lo
sguardo. I loro occhi si incrociarono. Era quel bardo? L’uomo che lo aveva
invitato a seguirlo nel suo viaggio molto tempo prima? Sembrava potesse
esserlo, eppure appariva anche come un completo estraneo.
L’uomo colpì le
corde con forza. Nacque una melodia.
Nezumi intonò una
canzone seguendo le note. Non poteva farci nulla. La musica dell’uomo e la voce
di Nezumi si fusero insieme, armonizzandosi insieme piacevolmente. Come un
cielo che cominciava a schiarirsi, la canzone, che ricordava un fiore mentre
sbocciava, procedeva scorrendo dolcemente quasi fosse un largo fiume sotto un
cielo ceruleo.
Era una
sensazione confortante.
Il corpo di
Nezumi si sentì più leggero mentre un venticello lo investiva. Trasportato dal
vento, raggiunse le vette più altre del cielo.
Le mani
dell’uomo si fermarono. Anche Nezumi chiuse la bocca.
“Non fermatevi,”
disse una voce femminile.
“Continua a
cantare,” aggiunse quella di un uomo.
Una piccola
folla di gente si era formata attorno ai due.
Non mi ero neppure accorto di un numero così elevato
di persone. Per un istante, Nezumi
sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Di solito era
particolarmente sensibile ad ogni presenza intorno a lui. Persino il rumore dei
passi di un singolo bambino era sufficiente a innescare una sua reazione. Si metteva
in allerta anche al suono del rotolio di una pietra. Altrimenti, non avrebbe
potuto sopravvivere. Se doveva esserci un’eccezione, quella era Shion. La
presenza di Shion era l’unica su cui perdeva la presa a volte. Per qualche
ragione che non riusciva a capire, non percepiva Shion.
“Fateci sentire
di più.”
“Canta, canta!”
“Fateci sentire
di nuovo quella canzone!”
L’uomo guardò
Nezumi e sogghignò. “Che ne dici, ragazzo mio? Te la senti di cantare ancora?”
“Nah, credo che
il mio tempo sia scaduto. C’è quella rottura del mio capo.”
“Ehi, Eve!” fu
afferrato per un braccio. Nezumi si
voltò e si liberò abilmente dalla presa.
“Salve, Manager.
Di fretta come al solito, vedo.”
Il direttore di
scena, vestito con una giacca e un papillon rossi, piazzò entrambe le mani sui
fianchi e divaricò le gambe. Sembrava essere arrivato al culmine del
disappunto.
“Cosa ti salta
in mente, cantare in un posto come questo? Queste persone non hanno pagato
nemmeno un centesimo! Non so proprio cosa tu stia facendo, metterti a cantare
per gente che non è neanche nostra cliente. Ridicolo…Cosa? Cosa
c’è di tanto divertente?”
“No. Mi stavo
solo chiedendo se anche lei non ne fosse rimasto ammaliato, Manager.”
“Cos—non dire
stupidaggini!” farfugliò il direttore. “Sono venuto qui solo per dare
un’occhiata, dato che ci stavi mettendo così tanto ad arrivare. E ti ho trovato
qui, a fare questo tuo simpatico concertino all’aperto. Fai del lavoro che ci
faccia incassare dei soldi, ti conviene.”
Il direttore
arricciò le estremità dei suoi baffi a manubrio1, poi si voltò verso
l’uomo e alleggerì l’atmosfera mostrando un sorriso mellifluo.
“Dica, signore,
lei ha un modo di suonare decisamente suggestivo. Che ne direbbe di venire a
lavorare con me? Con le sue melodie e la voce di Eve, sono certo saremmo sulle
bocche di tutti in città. Attireremmo una gran ressa di gente.”
L’uomo scosse la
testa, in silenzio, in segno di diniego.
“Vorrei che ti
rivolgessi a me in quel modo.”
“Eve, non dire
cavolate,” sbottò il direttore. “Ogni volta ti pago una grossa somma di
denaro.”
“Ah, davvero?
Dev’esserci un abisso tra la tua percezione di ‘grossa somma’ e la mia.”
L’uomo si alzò
silenziosamente. Si avvicinò a Nezumi e gli sussurrò nell’orecchio.
“Anche tu sei il
vento?”
Vento?
“Un vento che
soffia su queste terre a suo piacimento. Non trova dimora né pianta le proprie
radici in un sol luogo. Esattamente come noi.”
Nezumi fissò
l’uomo negli occhi. Erano azzurri. Possibile che fosse lo stesso viaggiatore?
“Tu canti, noi
suoniamo,” continuò. “Questo è ciò che siamo. Ma per quale ragione indugi in
questi luoghi? Perché non sei libero, come il vento? Cos’è che ti ha
intrappolato e che ti trattiene qui?”
L’uomo si
ritrasse. Colpì una sola corda. Poi ripose lo strumento nella borsa e se lo
mise in spalla.
“Sarà meglio che
ti liberi al più presto, ragazzo mio.”
Nezumi non
riuscì a trovare una risposta. Si limitò a guardare l’uomo allontanarsi.
Cos’è che ti ha intrappolato e che ti trattiene qui?
Sarò in grado di spezzare queste catene? Riuscirò a
rompere le catene del mio odio? È Shion colui che mi tiene legato? Potrò essere
libero?
Un giorno, sceglierò di vivere in quel modo.
Quel
giorno arriverà.
Allora sarà un addio, Shion. E un addio, No.6.
“Andatevene a
casa, andatevene! Se volete sentire Eve cantare, tornate a teatro con del
denaro. Ci sarà un gran concerto
stanotte!” La voce roca del direttore risuonava tra la folla.
Nezumi restò
immobile mentre il vento gli passava attraverso, carezzandogli i capelli.
-- END OF CHAPTER --
Shion e Nezumi - Official Art by toi8 |
Note:
(1) Baffi a manubrio: Magari voi sapete come sono, ma io ho dovuto cercarne un'immagine perché non sono un'esperta di baffi, sinceramente, e quindi non avevo la più pallida idea di come diavolo fossero. Quindi, per chi non ce l'ha presente, ecco com'è questo tipo di baffi. Ma forse questa è una loro rappresentazione più fedele alla realtà. ;)
Effettivamente Nezumi deve essere libero come il vento!
RispondiEliminaCe lo vedo molto come girovago in una compagnia itinerante, vestito con abiti colorari e con i capelli al vento...
Magari con un compagno meno schizzato di Shion eh!
Grazie per averlo tradotto!