Titolo: No.6 - Beyond
Autore: Asano AtsukoTipologia: Novel
Capitoli: 4
Genere: Azione, Mistero, Sci-Fi.
Rating: R-17 (violenza e blasfemia)
Current Mood: in pace con me stessa
Listening to: Crawl - Superchick
Buonasera.
Non so che dire, in realtà. Questo capitolo... beh ci ho messo un secolo a tradurlo, principalmente perché ci sono molte descrizioni di stati d'animo e ricordi del passato e quasi nessun dialogo. A dire il vero, non è nemmeno il capitolo completo, ma solo la prima (e più lunga) parte. Farò come 9th Avenue, da cui, vi ricordo, ho preso le traduzioni in inglese, ossia suddividerò i vari capitoli in due/tre parti, perché sì, sono veramente lunghi.
Ovviamente ho concluso il capitolo nel punto più bello e "asdfghjkl" (sì, è un aggettivo), insomma, quello di maggior tensione. Non odiatemi per questo. ఠ_ఠ
Comunque, il prologo è raccontato dal punto di vista di Eryurias/la Asano, almeno secondo me. Non è mai esplicitato. Probabilmente si può leggere come la volontà dell'autrice che confluisce nelle parole di Eryurias, ma è solo una mia supposizione. Ovviamente potete vederla come volete.
La prima storia, invece, I Giorni di Inukashi, è appunto il racconto di una giornata decisamente particolare di Inukashi. Scopriamo il suo passato, ciò che ritiene sia veramente importante, ciò che pensa di No.6, la sua vita nel West Block. Ho come la sensazione che ora riusciremo a capirla meglio.
Ci tengo a precisare che con molta probabilità Inukashi è una ragazza. Eppure tutti la trattano come un ragazzo. Inukashi stessa dice di essere un maschio. Perché? Beh, penso che sia una sorta di autodifesa preventiva, mentire sul proprio sesso. Inukashi vuole far credere agli altri di essere un ragazzino perché, come dire, le ragazze sono più fragili? Ad ogni modo, sono viste come creature più deboli, più facili da sopraffare e di cui ci si può approfittare con davvero poca fatica. Soprattutto in un luogo privo di leggi, se non quelle naturali, come il West Block, per le donne dev'essere particolarmente dura.
Sta di fatto che anche sul vero sesso di Inukashi la Asano non è mai chiara, anche se ha lasciato degli indizi sparsi qua e là all'interno della novel di No.6.
Ma basta sproloquiare, ecco a voi la prima parte del primo capitolo di No.6 Beyond.
"Ritagliando e intagliando gli attimi delle vite di Nezumi e
Shion
che non aveva potuto toccare prima,
Atsuko Asano inizia a svelare i loro
segreti…"
No.6 Beyond – Prologo.
Non mi sono
dimenticata di loro.
La cronistoria
delle loro vite è forse
l’unica cosa che
val la pena raccontare.
***
Potremo mai avere di
nuovo fiducia nelle persone?
***
Lasciate che vi racconti una storia. Una storia di cui
sono a conoscenza. Una storia? No—è la realtà, direbbero gli umani,
probabilmente. Direbbero che è la realtà scolpita nella storia dell’umanità.
Ma per me, le imprese degli uomini non sono altro che
storie. A volte commedie, a volte tragedie; ogni tanto prevedibili, qualche
volta noiose—nient’altro che invenzioni.
Esatto, gli umani non sono altro che sciocchi attori.
Recitano seguendo un copione, danzando alla mercé della
loro cupidigia, dell’amore, delle emozioni. Sono stupidi, ignoranti e avidi…
Distruggono con le loro stesse mani ciò che avevano creato in precedenza.
Anelano a governare sugli altri e a diventare i soli e unici re del mondo.
Chissà perché lo fanno, mi domando?
Perché gli umani sono gli unici incapaci di vivere
secondo le leggi della natura, lasciando intatto ciò che li circonda? Sono
delle creature così strane.
Nella storia che sto per narrarvi, il protagonista è egli
stesso un umano—no. Il personaggio principale in realtà è una città. Una
città-stato. La gente la chiamava No.6. Ne avete mai sentito parlare? È la più
bella creatura a cui le mani dell’uomo abbiano dato vita, seppur sia anche la più
temibile. È meritevole del ruolo principale in una commedia, non trovate?
Sembra strano, ma…per qualche ragione, sento una specie
di affetto per quella città, No.6. Provo tenerezza per la storia che circonda
No.6, così come per coloro che hanno recitato in quella storia. Ciò mi rende
possessore di un “anima”?
So di due giovani uomini.
Giorno e notte; luce e oscurità; terra e vento; uno che
abbraccia ogni cosa, l’altro che cerca di buttare via tutto. Sono così diversi,
eppure così simili. Entrambi furono profondamente coinvolti con No.6. Vissero
le loro vite al fianco di No.6.
Cosa? Quando accadde tutto ciò, chiedete?
Me lo domando anch’io. Sembra sia passato solo un giorno,
ma al tempo stesso è come se fossero passati cento anni. Io non percepisco lo scorrere
del tempo come voi umani.
Non sento la differenza tra un singolo momento ed
un’eternità.
Ma non mi sono dimenticata di loro.
A volte mi sento come se quella delle loro vite sia
l’unica storia degna di essere raccontata.
Prego, entrate ora.
Lasciate che vi racconti una storia.
La storia di due ragazzi e di No.6
Inukashi - Official Art by toi8 |
NO. 6 BEYOND
I Giorni di Inukashi.
Il soffitto stava girando. In realtà sembrava stesse
vorticando.
Uh? Che sta
succedendo?
Inukashi collassò sul letto e chiuse gli occhi. Stava
male. Non solo aveva le vertigini, ma anche la nausea. Tenne gli occhi chiusi
mentre prendeva respiri profondi.
Inspirava attraverso il naso, lasciava che l’aria si depositasse sul
fondo dei polmoni ed espirava lentamente attraverso la bocca.
Una volta, due, tre…
Un malessere nella norma, fisico o mentale, di solito
passava facendo così—che si trattasse del suo cuore in agitazione, di pensieri
confusi , di ferite che pulsavano o di forti emicranie. Nessuno gliel’aveva
insegnato; era qualcosa che aveva imparato senza rendersene conto. Ma per lo
stomaco vuoto, non c’era molto che potesse fare. Non importava quanto a fondo
inspirasse per cercare di riempirsi lo stomaco, perché appena espirava, quello
si svuotava di nuovo. Non c’era nulla che potesse fare riguardo al suo corpo,
mentre diventava sempre più freddo dalla fame.
Odio la fame. È
qualcosa di terrificante. Inukashi si diede una scrollata. La fame era come
un demone. Con le sue zanne e gli
artigli affilati, sradicava e rubava qualsiasi volontà di sopravvivenza,
qualsiasi speranza di vivere.
Ma ora stava bene.
Certo, era ancora affamato. Inukashi non ricordava
l’ultima volta in cui aveva avuto lo stomaco pieno. Vuoto—ecco com’è quando si
nasce. Ne era convinto.
Si tirò a sedere con attenzione sul letto. Non aveva più
le vertigini, ma la nausea era ancora lì. Si sentiva pesante, come se qualcuno
gli avesse attaccato dei pesi alle braccia e alle gambe. Mi sento come se qualcuno mi avesse incatenato a delle sfere di
metallo, come un prigioniero di un qualche paese.
Ah, non va bene per
niente.
Si sdraiò di nuovo e fece schioccare la lingua
mentalmente. Sentirsi male nel West Block era come invitare la Morte al proprio
fianco. Lì esistevano sciamani di dubbia natura, o sedicenti dottori, ma
nessuno che fosse in grado di fornire adeguati trattamenti medici. O almeno,
Inukashi non ne conosceva nessuno.
Sentiva il corpo diventare sempre più pesante. Con gli
occhi chiusi in quel modo, gli sembrava di venire trascinato nelle profondità
marine.
In momenti come
questi, devo pensare a cose divertenti, si disse. Divertenti? Mi sono mai davvero divertito?
Sì. Ieri sera,
ricordi? Ti sei liberato della fame, anche se solo di poco. Già, vedi, era
quella. Era la felicità suprema.
Aveva mangiato della carne. C’era un grosso pezzo di
carne cruda nel carico di scarti di cibo proveniente dal Penitenziario. Non
erano gli avanzi di qualcuno: era un’intera porzione di carne che non era stata
nemmeno cucinata. Non aveva segni di morsi o di putrefazione. Ad un’ispezione
più accurata, si presentava particolarmente bene. Forse era caduta in terra al
cuoco incaricato di servire nelle cucine del Penitenziario e qualcuno ci aveva
camminato sopra.
“Ehi! Hai appena rovinato un pezzo di carne sopraffina!”
“Ah, scusa. Ma sei stato tu a farlo cadere.”
“Beh, ormai non ci possiamo fare nulla. Non si può
riutilizzare.”
La carne era stata buttata in un cestino di metallo e
dimenticata. Alla fine, era giunta tra le mani di Inukashi insieme ad altri
rifiuti e avanzi di cibo—forse era stato quello il suo viaggio. Chi se ne frega. Non mi importa del giro che
ha fatto o come è arrivata qui. Quello che è importante è che ho un bel pezzo
di carne tra le mani.
Che fortuna incredibile era stata.
Aveva quasi ballato dalla gioia, letteralmente. Quand’era
stata l’ultima volta in cui aveva avuto a portata di mano qualcosa di così
buono? Aveva cercato e cercato ancora tra i cassetti della memoria, ma non
aveva trovato nulla. Inukashi si era leccato le labbra mentre alzava quel pezzo
di carne, grondante grasso. Aveva deglutito, affamato.
Non sapeva che tipo di carne fosse, ma non gli
importava—finché non si trattava di carne d’uomo o di cane. Inukashi era
tornato nella sua dimora tra le rovine e si era fiondato a cucinarla. Aveva
scelto delle verdure e preso degli ossi dagli scarti di cibo, li aveva immersi
in una pentola piena d’acqua e li aveva lasciati a sobbollire. Appena l’acqua
aveva cominciato a bollire, aveva diviso la carne in più parti e l’aveva
gettata dentro. Considerò l’opzione di metterne da parte metà per il futuro o
di venderla al mercato, ma alla fine era giunto ad una terza soluzione. Inukashi
era ben consapevole che cibo del genere era merce preziosa; sapeva anche che se
l’avesse portata al mercato, sarebbe riuscito a guadagnare un bel po’ di monete
d’argento. Ma credo che finirò questa
bistecca in un colpo solo. Quella fu la sua decisione. Ho il permesso di farmi un regalo ogni tanto. Apprezzerò la buona
sorte che mi ha sorriso—la fortuna che il cielo ha deciso di concedermi per una
volta.
Questo è il West
Block, non posso nemmeno essere sicuro di sopravvivere domani. Nemmeno Dio ci
garantisce qualcosa in questo luogo. Dovrei godermi di più il presente senza
pensare al domani.
Vapore si era alzato dalla pentola.
Un profumino appetitoso si era sollevato. I cani si erano
riuniti lì intorno, attirati dall’odore.
“Lo so, lo so. Ne avrete un po’ anche voi. Non
preoccupatevi.”
Bianchi, neri, a macchie, marroni. Dal pelo lungo, corto,
ondulato. Con le orecchie a penzoloni o dritte, con un orecchio solo. Inukashi
aveva con sé venti o trenta cani, che variavano da uno grande come un vitello
ad uno più piccolo di un gatto. Per qualche ragione, quel numero non era mai
aumentato. Eppure nascevano cuccioli ogni anno. Significava che un egual numero
di cani probabilmente moriva o non tornava.
Una femmina era morta il giorno prima. Era una nonna,
aveva dato alla luce molti cuccioli e allevato con successo circa la metà di
loro. Ricordo i suoi figli e le sue
figlie leccare a turno il suo corpo irrigidito e freddo.
I cani sono profondamente fedeli. Sono caldi e gentili.
Provano compassione. Non tradiscono mai i loro amici o la loro famiglia.
Sono decisamente
più dignitosi e affidabili degli uomini.
“Più terrificanti della fame, della terra ghiacciata,
sono gli uomini.”
Mi ricordo che era
la frase che ripeteva il Nonno. Inukashi aveva scosso la testa mentre
mescolava nella pentola con un cucchiaio di legno. Perché mi devo ricordare di lui adesso? Non mi aiuterà a saziare la
fame. Ma, no—aveva scosso la testa con ancor più forza.
Devo ricordarmi di
lui almeno una o due volte all’anno, per il suo bene. Devo ricordare e
ripensare a quanto gli volevo bene. Devo molto a quel vecchio. Non dobbiamo
dimenticare le buone azioni che la gente ha fatto per noi: è un’altra delle
virtù di noi cani.
Non so quanti anni
avesse il Nonno, o perché vivesse tra queste rovine con i cani, o da dove
venisse o dove se n’è andato. Non mi è necessario saperlo, né mi importa scoprirlo.
Ma non sarei sopravvissuto se non fosse stato per lui. Sento il peso di ciò che
ha fatto in ogni centimetro delle mie ossa.
Era inverno quando
incontrai il Nonno.
Ricordo il vento
gelido e il candore della neve che si accumulava di fronte a me. Quindi sì, era
inverno. Anni e anni fa.
Non aveva memorie di sua madre, nessun ricordo di suo
padre; eppure, riusciva a ricordare in modo vivido il vento ghiacciato e la
neve danzante. Ricordava un rumore di passi avvicinarsi, la lingua di un cane
leccargli la guancia, il calore di un grembo umano; anche la sensazione di
volare che provò per un istante quando fu sollevato e preso in braccio.
Quanti anni avevo a
quel tempo? Ero ancora un neonato? Probabile, eh, perché Mamma mi allattava
ancora. I neonati ricordano molto più di quello che pensiamo.
Comunque, lui era un uomo che aveva superato la mezza
età, dimorava tra le rovine dell’hotel e aveva preso con sé Inukashi e l’aveva
cresciuto. Oppure si potrebbe dire che l’uomo l’aveva portato lì, ma un cane
l’aveva cresciuto.
Era una cagnolina e aveva appena dato alla luce dei
cuccioli. Inukashi poppava dalle sue mammelle e dormiva rannicchiato contro la
sua pancia con gli altri cagnolini. Grazie a lei, scampò alla
malnutrizione. Evitò di morire
congelato. Sopravvisse.
Questo cane intelligente e dal carattere gentile e dolce
era la sola e unica “Mamma” di Inukashi.
“Sei un bimbo strano…o dovrei dire, speciale.” Il vecchio
aveva pronunciato questa frase quando Inukashi era cresciuto abbastanza da
poter camminare ed era in grado di competere con gli altri cani nell’azzuffarsi
per il cibo. Il vecchio aveva parlato con una voce calda, gentile, pacata.
Inukashi ricordava molto bene anche quello.
“’peciale?”
“Significa che sei diverso dagli altri. Finora, non avevo
mai sentito, né tantomeno visto, un neonato che fosse riuscito a nutrirsi e
crescere solo con latte di cane. Quando ti ho preso con me, a dire la verità,
credevo che non saresti sopravvissuto per più di tre giorni. Ma ti ho portato
via lo stesso, perché almeno, desideravo darti una degna sepoltura.”
“Sepollura?”
“Significa scavare un buco nella terra e sotterrarti
dentro. Qualora tu fossi morto, avevo intenzione di metterti sotto terra e
darti una sepoltura in quel modo. Non potevo permettere che venissi lasciato
all’aria aperta. Non volevo che andassi incontro a quello a cui vanno incontro
la maggior parte dei neonati in questi luoghi, che si decompongono in mezzo
alla strada, vengono beccati dai corvi, mangiati dalle bestie. Normalmente,
avrei… sì, ti avrei lasciato lì. Ti sarei passato accanto facendo finta di non
averti notato. Non sarebbe stato diverso da quello che avevo sempre fatto. Ma
perché decisi di portarti via dalla strada… perché volevo seppellirti nella
terra?”
“Perché?”
“Non lo so.” Il vecchio scosse la testa lentamente, due
volte. “Davvero, non lo so. Non riesco a capirlo io stesso. Perché ti ho
raccolto quel giorno e portato a casa? Ho guardato molti bambini, a dozzine,
morire. Perché decisi di prendere per mano proprio te? Sembra che non riesca a
trovare una ragione. In parte, è questo quello che intendevo dicendoti che sei
un bambino strano.”
Inukashi rabbrividì. Fece un leggero suono strozzato
percependo il suo corpo che diventava sempre più freddo, a partire dalla punta
delle dita. Un sudore freddo gli corse lungo la schiena.
Aveva paura. Allo stesso tempo, si sentiva sopraffatto dall’impulso
di ridere a gran voce. Voleva buttare la testa indietro e permettere all’eco
della sua risata di raggiungere il paradiso.
Era vivo solo grazie alla buona sorte che si era
schierata dalla sua parte per una mera coincidenza. Se non fosse stato per l’impeto
di quel vecchio, il suo corpo, la sua carne, le sue ossa sarebbero state preda
di corvi e bestie. Era stato un miracolo, un vero colpo di fortuna. Nel suo
cuore si agitavano paura, sollievo e il bisogno lancinante di scoppiare in una
risata isterica.
A quel tempo, Inukashi aveva già capito quanto arduo
poteva essere sopravvivere ogni giorno nel West Block. Percepiva che il suo
futuro sarebbe stato pieno di sofferenze e avversità, un po’ come se avesse
dovuto scalare una scogliera ripida a mani nude.
Ma lui voleva vivere. Voleva vivere, sopravvivere e
raggiungere i limiti della sua esistenza, anche se solo per un minuto, per un
secondo. Per farlo, avrebbe fatto qualsiasi cosa, non importava quanto
sgradevole, disonesta o disonorevole fosse. Era facile morire. Tutto ciò di cui
aveva bisogno erano una corda e un albero con dei rami che reggessero. Poteva anche
semplicemente saltare da una scogliera. Oppure poteva correre all’interno del
Penitenziario urlando—era un’opzione pure quella. I soldati di guardia gli
avrebbero sparato al petto o alla testa senza esitazione.
Avrebbe potuto farla finita in un istante, non importava
il metodo scelto. Non avrebbe sofferto troppo. Almeno, così credeva. Ecco
perché sapeva che era più facile scegliere la morte. Era ovvio come lo è il
sole che sorge da est.
Ma non voglio.
Inukashi strinse i pugni, anche se erano piuttosto piccoli. Non morirò così facilmente. Non sceglierò la
morte di mia spontanea volontà. Sopravvivrò e farò qualsiasi cosa serva a
tirare avanti.
Affronterò la
sfida. Sfiderò il destino che mi voleva abbandonato su una strada nel West
Block; sfiderò il mondo che rende la sopravvivenza una cosa così difficile.
Sfiderò il tizio che ha reso il mondo così—e vincerò. In realtà, sto vincendo
già adesso continuando a sopravvivere.
Quando era un bambino, Inukashi non sapeva parlare. Non sapeva
come mettere in parole le decisioni del suo cuore e comunicarle agli altri. Ciononostante
il vecchio aveva sorriso serenamente e aveva posato una mano sulla testa di
Inukashi.
“Ho la sensazione che tu possa farcela,” aveva mormorato.
Fu circa un anno dopo, alla fine dell’inverno, che il
vecchio scomparì. Il suo letto era già vuoto quando Inukashi si era svegliato
quel mattino e il vecchio non si vedeva da nessuna parte lì alle rovine. Eppure,
Inukashi non si mise alla sua ricerca disperata. Da qualche parte nel suo
cuore, si era già arreso, rendendosi conto che non c’era nulla da fare. Era sconvolto
ma non era solo. Aveva i cani con lui. Finché I cani fossero stati con lui,
stava bene.
Il Nonno
probabilmente sapeva anche questo. Sapeva perfettamente quando avrebbe dovuto
andarsene. Aveva capito che la sua vita stava per finire o aveva trovato un
luogo a cui doveva ritornare? Qualunque fosse la risposta, con tutta
probabilità adesso è là fuori da qualche parte, in un luogo su questa terra. La
gente non può tramutarsi in stelle nel cielo, ma può ritornare alla terra. Può
lasciare ai posteri anche i ricordi di sé.
Grazie, Nonno. Non
dimenticherò mai tutto quello che hai fatto per me. Una volta ogni tanto, mi
accerterò di ricordarti e ripensare ai ricordi piacevoli che mi hai lasciato.
Ma sai, il tuo volto sta diventando sfocato ultimamente. Riesco ancora a
ricordare le piccole cose: la tua barba bianca e ispida; come riluceva la tua
fronte stempiata; com’era sorprendentemente folto il tuo sopracciglio destro;
il modo in cui parlavi, sempre pacato. Ricordo tutte queste cose chiaramente,
eppure non riesco a richiamare alla mente la tua faccia. Chissà perché. Ma,
beh, va bene così. Oggi ti ho ricordato. È sufficiente, non trovi?
Aveva dato un’altra mescolata nella pentola.
Una cane pezzato aveva abbaiato. Gli altri cani gli avevano
fatto eco e avevano cominciato ad abbaiare anche loro.
“Lo so, lo so. Bene, diamo inizio alla festa. Venite qui,
ragazzi. Ma dovete aspettare che si raffreddi almeno un po’, prima di
mangiarlo. Passerete l’inferno se finite col bruciarvi la lingua.”
Il tempo di finire di riempire le ciotole dei cani con la
zuppa e di portarsi alla bocca il primo cucchiaio di brodo di carne e Inukashi
si era già completamente dimenticato del vecchio.
Il passato tendeva ad essere d’intralcio. Se avesse
continuato a voltarsi indietro, non sarebbe più stato in grado di andare
avanti.
Inukashi aveva messo in bocca un pezzo di carne e ne aveva
assaporato la consistenza e il gusto. Se avesse ingoiato tutto subito, sarebbe
parso uno spreco; avrebbe voluto continuare ad assaporarlo all’infinito. Ma i
pezzetti di carne finivano tutti fin troppo velocemente giù lungo la gola e
raggiungevano lo stomaco. Quando aveva finito la ricca e saporita zuppa di
carne, comunque, aveva sentito ogni osso del suo corpo scaldarsi. Emanando
ancora calore, si era sdraiato sul letto. I cuccioli si dimenavano l’uno contro
l’altro nel tentativo di arrampicarsi e leccargli il viso. Le piccole lingue
rosa davano conforto.
Era felice. Si sentiva addirittura come se avesse rubato
tutta la felicità del mondo per se stesso. Immerso in quell’aria pacifica,
Inukashi si era addormentato.
Aveva la nausea. Temeva che se avesse aperto gli occhi,
il soffitto avrebbe ricominciato a girare.
Che mi sta
succedendo?
Una parte della testa iniziò a pulsare dolorosamente. Il
suo corpo si appesantì ulteriormente. Cominciò a sudare. Si trattava di un
insolito malessere febbricitante, così diverso dal calore della notte prima.
Nemmeno le lingue dei cuccioli gli davano conforto. Gli
grattavano la pelle in modo fastidioso. Non aveva mai pensato prima ai suoi
cani come esseri fastidiosi, neppure una volta.
Il numero crescente di respiri profondi non sembrava
migliorare le sue condizioni.
Cosa mi sta
succedendo?
Subito dopo essersi interrogato, sentì un brivido
corrergli giù lungo la schiena. La paura si accese nel profondo del suo cuore.
È fin troppo serio.
E se non riuscissi
nemmeno ad alzarmi? Se non potessi neanche muovermi?
Era fatale ammalarsi nel West Block. Non serviva molto
per uccidere un abitante del West Block, privo di cibo decente e che viveva
nello squallore come lui. Anche una piccola ferita poteva bastare: un taglio
profondo sul mignolo, un graffio lungo il palmo del piede. Lo stesso per un
piccolo malanno: vertigini, nausea, febbre—qualunque cosa che ti tenesse a
letto. Qualcuno che era vivo tre giorni prima, poteva benissimo essere un
cadavere lungo la strada oggi. Questo genere di cose accadevano ogni giorno.
Dannazione.
Inukashi si morse il labbro e si sollevò a sedere. Si
appoggiò contro il muro e cacciò fuori un lungo respiro.
Quindi la carne di
ieri è stata la mia ultima cena, eh? Dannazione. Non è per niente divertente. Non
permetterò a qualcosa del genere di mettermi fuori gioco.
Si morse il labbro ancora più forte. Il sapore del sangue
si diffuse in bocca. Mormorò di nuovo “dannazione”, per ribadire il tutto. Ma
non aveva più forze. Era faticoso persino sollevare un dito. Se provava ad
obbligarsi ad alzarsi, veniva sopraffatto da vertigini e nausea insieme.
Collassò di nuovo sul letto.
Cominciò a perdere conoscenza.
Uno spiffero di vento soffiò attraverso una crepa della
finestra. Il freddo riportò Inukashi alla realtà. Voleva urlare. Voleva
chiamare aiuto, con più voce che poteva.
Qualcuno mi
aiuti…qualcuno, vi prego.
Un cane si scosse in un angolo della stanza e gli si
avvicinò. Si sdraiò su un fianco al suo capezzale e lo guardò. Era un cane
grande e marrone, un discendente della madre di Inukashi. Da lei aveva
ereditato l’intelligenza e profondi occhi scuri.
Il cane si mise seduto, le orecchie in ascolto,
attendendo un ordine di Inukashi.
“…voglio che… li chiami… per me…” Indicò fuori dalla
finestra.
Dall’altra parte si estendeva un cielo invernale, grave
di nuvole nevose. La luce lottava per cercare di oltrepassare le nubi, ma
raggiungeva a malapena il terreno. Ancora una volta, la giornata nel West Block
si sarebbe conclusa ghiacciata così come era iniziata.
Il cane spinse e aprì la porta fatiscente e uscì dalla
stanza. I cardini arrugginiti stridettero fastidiosamente. Inukashi era
abituato a quel suono, eppure gli colpì dolorosamente i timpani e la nausea
aumentò.
“Ti prego. Chiamali…”
Aiutatemi.
Il cane si precipitò giù dalle scale. I cuccioli si
rannicchiarono tutti insieme e guairono penosamente.
Stava sognando. Sognava di tempi lontani. Quanti anni fa?
Il vecchio era già scomparso da tanto. Inukashi era
solo—ma con i suoi cani. Finalmente aveva cominciato a prendere il ritmo del procurarsi
avanzi di cibo, così come aveva imparato a cucinarli e a venderli.
Stava scendendo delle scale.
Erano scalini di cemento che portavano sottoterra, non
così danneggiati come quelli del rifugio di Inukashi. L’edificio sembrava in
rovina per quanto riguardava la parte sopra il suolo, ma pareva che la parte di
esso che si trovava al di sotto fosse ancora intatta. Una volta che Inukashi
raggiunse il fondo, si trovò di fronte ad una porta. Allungò una mano esitante
fino ad afferrare la maniglia.
L’edificio si trovava vicino l’entrata del West
Block. La foresta nelle vicinanze era
punteggiata di baracche. Oltretutto, non lontano incombeva la Città Santa,
No.6. Ad essere esatti, erano le mura esterne di No.6. Le mura esterne
costruite con una lega speciale di materiali che brillavano come oro quando il
sole le colpiva. Il muro rendeva bene l’idea della divisione tra il “qui” e il
“là”, paradiso e inferno. Non c’era nulla che mancasse all’interno delle mura:
letti caldi, cibo in abbondanza, strutture mediche all’avanguardia, abitazioni
accoglienti. Non c’era nulla che minacciasse la vita e si poteva vivere senza
venire mai a conoscenza di quello che era la fame o il freddo. Inukashi aveva
persino sentito dire che là sofferenza e paura non esistevano nemmeno.
Un’utopia, meritevole del suo nome di Città Santa.
Inukashi non aveva sentito molto riguardo a No.6 nel West
Block. Tutti si zittivano e si rifiutavano di toccare l’argomento come se il
nome stesso fosse tabù.
Affari sporchi,
aveva pensato Inukashi—o piuttosto, l’aveva capito.
Le utopie e le Città Sante semplicemente non esistevano
in questo mondo. No.6 era una città-stato fondata dagli umani. Finché gli umani
avevano a che fare con essa, qualcosa doveva andare storto. Il vostro ideale non è la perfezione per me,
e la mia felicità potrebbe essere qualcosa che voi non sopportate. Questo è il
mondo umano. Gli uomini non possono
creare un’utopia. Il meglio che possono fare è litigare, scontrarsi, cambiare
un po’ per un’altra persona e poi abbandonarsi nel mezzo. Solo questo.
No.6? Quel luogo è
così sospetto che mi fa rizzare i capelli. La cosa più furba da fare è
restargli alla larga.
Ecco perché Inukashi non si avventurava mai nelle sue
vicinanze. Odiava la vista del muro di No.6. Se quel giorno il suo raccolto
fosse stato leggermente migliore, probabilmente non sarebbe andato vicino a
quel posto. Ma un’intera giornata passata a girovagare per il West Block gli
aveva procurato soltanto uno o due avanzi di verdure e una sola striscia di
carne essiccata. Era a mala pena sufficiente a sfamare se stesso, figuriamoci i
cani. A quel tempo, Inukashi non sapeva ancora come mettere le mani sulle
scorte periodiche degli avanzi di cibo del Penitenziario. La sua unica scelta
era quella di afferrarsi lo stomaco vuoto e elemosinare disperatamente. Al mercato,
si guadagnava delle sonore bastonate dal capo macellaio; alla taverna, la
manager gli urlava improperi e bestemmie, ma lui proseguiva, impassibile.
Inukashi era da tempo abituato agli abusi, agli insulti e al dolore fisico.
Devo fare qualcosa
per questa fame.
Quando riprese i sensi, era in piedi nella foresta.
Sembrava che avesse camminato fin lì quasi inconsciamente, con l’intenzione di
trovare almeno una nocciolina da raccogliere. È qui che trovò l’edificio fatiscente
e abbandonato. Posò una mano sul muro con noncuranza e quello non oppose
resistenza, rivelando delle scale che portavano ai sotterranei.
Inukashi arricciò il naso. Strizzò gli occhi e tese le
orecchie.
Non aveva percepito né fiutato la presenza di nessuno.
Completamente
abbandonato, eh.
Scese stando attento, passo dopo passo.
Inukashi sapeva che una strana vecchia e un ragazzino
(suo nipote, presumeva) dovevano abitare qui. Li aveva visti già due volte
prima. La vecchia aveva uno sguardo duro, come se non avesse mai sorriso in
tutta la sua vita.
Lo so, lo so. Me lo
ricordo.
Quella vecchiaccia
aveva qualche rotella fuori posto. Aveva attaccato qualcuno di importante
proveniente da No.6—il sindaco o il presidente o una cosa del genere. Tutta
sola. Aveva zoppicato verso di lui, un coltello nella mano, e le avevano
sparato, uccidendola. Aspetta—o forse era stata arrestata e poi le avevano
sparato? Comunque, era stata fatta fuori piuttosto velocemente. Non che fosse
una sorpresa, haha.
Inukashi la derise con una smorfia, mentalmente. Era un’espressione
che aveva visto al mercato. Non era sicuro della sua fondatezza.
Il suo stomaco brontolò. Sembrava un urlo disperato.
Non ce la faccio
più. Datemi del cibo. Svelti, svelti, svelti, svelti, svelti.
Dannazione, non c’è
qualcosa? Pane secco, carne avariata, non m’importa. Qualcosa che possa placare
il mio stomaco.
Afferrò la maniglia della porta. Non era chiusa a chiave.
Era un po’ pesante, ma con una piccola spinta, si apriva senza molta
resistenza.
“Oha!” Un suono che non assomigliava né ad un respiro né
ad una parola gli sfuggì. “Che diavolo è?”
C’erano pile di libri fin dove riusciva a vedere. Erano
qui e lì, ovunque, impilati ordinatamente o sparpagliati con noncuranza sul
pavimento. Non si riusciva quasi a distinguere il pavimento stesso. La stanza
sembrava contenere nient’altro che libri.
Quello era il primo incontro con dei libri per Inukashi.
Conosceva le parole; sapeva anche scrivere, finché non si trattava di parole
troppo complesse. Il vecchio gliel’aveva insegnato. Ma Inukashi non aveva
alcuna conoscenza riguardante i libri. Non aveva mai sentito la parola “libro”,
né sapeva che si riferiva a quei fogli di carta rilegati con parole stampate
sopra. Non aveva idea di dove cominciare per riuscire a decifrarli. Capì
istantaneamente che non erano cibo. Giusto per esserne sicuro, scelse un libro
dalla pila vicino alla porta e provò a morderlo. Aveva scelto quello perché la mela matura
disegnata sulla copertina bianca sembrava deliziosa.
Orribile.
Inukashi si pulì la bocca con il retro della mano e
lanciò il libro lì, di lato. Duro, secco
e certamente qualcosa che non posso mangiare.
Si mosse in avanti, facendosi strada calciando i libri
caduti. Sembrava ci fossero solo libri in quel posto.
Tsk. Tutto ‘sto
lavoro andato sprecato. Inukashi fece schioccare la lingua e stava per
girare i tacchi quando il suo cuore mancò un battito. Aveva trovato
qualcos’altro oltre ai libri.
Era posato su uno scaffale (pieno di libri)—alcuni volumi
erano stati spostati per fargli spazio. Era una piccola scatola d’argento,
posata sopra un panno.
“Che roba è? Ci
vive qualcuno qui?”
Arricciò di nuovo il naso. Come prima, non fiutò nulla. Inukashi
tirò giù il contenitore argenteo dallo scaffale. Ne aprì il coperchio.
Si scoprì ad emettere un fischio.
Oh, ma certo. È decisamente un tesoro. Sembra
proprio che mi sia trovato un bel bottino.
La scatola alla fine era un kit d’emergenza, con bende,
pinze, garze ed un certo numero di medicinali sistemati ordinatamente all’interno.
C’era persino un bisturi. Aveva l’aspetto di una cosa proveniente da No.6.
Inukashi non aveva idea di come ci fosse finita lì. Non aveva nessuna
intenzione di scoprirlo, comunque. Non gli importava del viaggio che aveva
fatto o della storia che si portava dietro. Ciò che importava era che la stava
tenendo tra le mani. Questo era sufficiente.
Articoli medici di ogni tipo erano oggetti ambiti nel
West Block. Il disinfettante, in particolare, era acquistato a prezzi
altissimi. A volte una bottiglietta di disinfettante poteva valere fino a due
monete d’argento.
Inukashi vi avvicinò il naso.
Questo è puro al
cento percento, non ha additivi—è roba buona. Guarda come mi fa bruciare il
naso. He, altro che argento—questo potrebbe valermi addirittura una moneta d’oro
se sono fortunato. Ho fatto un bel ritrovamento. La fortuna comincia finalmente
a girare.
Inukashi sogghignò fra sé mentre abbassava il coperchio
del contenitore. Stava per metterselo sotto un braccio, quando notò un tavolino
ricoperto di libri.
Su di esso, c’era anche un topino. Non era vivo. Era stato
costruito abilmente, ma era chiaramente stato fatto da un essere umano. Inukashi
si sporse in avanti, tenendo ancora tra le braccia la scatola argentea. La pancia
del topo si poteva spostare indietro rivelando le complesse parti metalliche al
suo interno.
Un robot?
Inukashi stava per sporgersi ancora più avanti quando
rabbrividì violentemente. Percepì la pelle d’oca formarsi dietro la schiena.
“Non muoverti,” sentì una voce al suo orecchio.
{continua qui}
Non amo particolarmente Inukashi, ma grazie per averlo tradotto!
RispondiEliminaVado a leggere il seguito.