mercoledì 21 agosto 2013

[Novel Ita] No.6 Beyond - A Song From the Past (parte seconda)







Current Mood: in attesa di un segno divino
Listening to: Something About Us - Daft Punk


Sì, lo so, lo so. Avevo detto che vi avrei portato la seconda parte ieri e invece, guess what, ve la porto con un giorno di ritardo. Cose che capitano. ⊙︿⊙
Non aggiungo altro perché sono stanca e non so che dire. [grida interiori randomiche che urlano il nome di Nezumi].
さようなら~

Capitolo 2 - parte 1


“Nonna…c’è qualcosa che non va?”


La vecchia si era raggomitolata su se stessa con il volto sprofondato tra le mani, piangendo. Nezumi non l’aveva mai vista versare una sola lacrima prima di allora. Si accucciò accanto a lei e le posò una mano sul ginocchio.
“Cosa c’è? Hai fame? Ti fa male da qualche parte?”
La donna non gli rispose. Quel suo singhiozzare silenzioso non si fermava.
“Avanti, dimmi cos’è successo. Ti fa male qualcosa? Non stai bene?” Nezumi scosse il ginocchio della donna. Era l’unica persona al mondo di cui poteva fidarsi e su cui poteva contare.
Non voglio che tu pianga.
Non essere addolorata. Non essere triste. Ti prego, nonna.
“Mi dispiace…” Il pianto si fermò. “Che vergogna…ma non ce la facevo più…”
La mano della donna si allungò per accarezzare la testa di Nezumi.
“La mia amata madrepatria è così vicina. Eppure—ora, la maggior parte della foresta di Mao è perduta. Quella città demoniaca si sta innalzando al suo posto. Rimane ben poco della foresta in cui sono cresciuta, dove tua madre e tuo padre sono cresciuti, dove te sei nato e cresciuto. Non possiamo nemmeno mettere piede nella foresta, ora come ora. Eppure è vicina…così vicina…”
“Nonna…” Nezumi toccò la guancia della donna con la punta delle dita e le asciugò le lacrime. Erano sorprendentemente calde. “Non piangere. Non puoi piangere. Il tuo cuore si indebolirà.”
La vecchia annuì e scrutò negli occhi Nezumi.
“Lascia che ti insegni una canzone.”
“Una canzone?”
“Sì. Tua madre era la Cantante più importante di tutta Mao. Anche io lo ero—molti e molti anni fa. Sono stata io ad insegnare a Cantare a tua madre.”
“Lo insegnerai anche a me?”
La vecchia guardò Nezumi dritto negli occhi e annuì fermamente, una volta sola. Non piangeva più. I suoi occhi, ora asciutti, erano più scuri del cielo sopra di loro. Quegli occhi color della pece riflettevano le fiamme del fuoco.
“Tu sei degno di diventare un Cantante. Spesso andavi nella foresta e cantavi con tua madre. Te lo ricordi?”
Nezumi scosse la testa.
Tutti i ricordi che aveva del periodo precedente al giorno in cui tutto fu disintegrato dalle fiamme erano sbiaditi. Faticava a ricordare in modo chiaro.
“Solo…una voce.”
“Una voce, hai detto?”
“Mi ricordo una voce. Una voce che diceva—ti insegnerò una canzone di cui avrai bisogno per continuare a vivere.”

Vieni qui.
Lascia che ti insegni una canzone. Ti insegnerò una canzone di cui avrai bisogno per sopravvivere.

Non aveva forse udito una voce pronunciare quelle parole?
La vecchia gli lanciò uno sguardo stupito e la bocca le si contorse in una smorfia.
“Era…la voce di tua madre?”
Nezumi rimase in silenzio per qualche istante. Non riusciva a ricordare la voce della madre. Scappa—solo quel grido conciso gli si era conficcato ostinatamente nelle orecchie e aveva cancellato la sua voce mentre cantava e la sua risata. Ma anche se non se ne ricordava, era certo di una cosa—quella non era la voce di sua madre.
“No. Non era…umana.”
“…Capisco.” Un sospiro le uscì dalle labbra contratte. “Capisco—la conosci già.”
“Eh? Non so nulla. È come se avessi sentito quella voce in sogno.” Magari non era altro che un sogno, un’illusione creatasi nel dormiveglia. Ma la vecchia scosse la testa lentamente.
“Non era un sogno. Tu sei un Cantante. La Dea della Foresta ti ha scelto.”
“La Dea della Foresta…”
“Sì. È la foresta stessa. È colei che benedice il Popolo della Foresta e che instilla in loro anche la paura. È sempre al nostro fianco, veglia su di noi, benedicendoci. A volte ci ferisce, distrugge, annienta.”
Distrugge e annienta. Intende col fuoco? Bruciava, strappava e bandiva ogni cosa fino a portarla alla non-esistenza.
“No.” La vecchia aveva intuito quello che stava pensando. Scosse la testa con veemenza come a scacciare i pensieri inespressi di Nezumi. “Il fuoco è diverso. È un prodotto dell’uomo. È il risultato della malvagità e dell’ingordigia umana. Non è lo stesso tipo di distruzione portato dalla Dea della Foresta.”
La donna lanciò alcuni rami secchi nel fuoco. Le fiamme crebbero leggermente. Il fuoco di fronte a lui era gentile e calmo. Gli forniva calore per il corpo e per cuocere il cibo.
“La gente di quella città demoniaca ha raso al suolo la foresta. Hanno trasformato la dimora della Dea della Foresta in cenere.”
“Anche la Dea della Foresta è morta quel giorno?”
“La Dea non muore. Non verrà mai uccisa dalle mani di un semplice umano. Le persone della città demoniaca non conoscono alcun Dio. Non sanno della sua potenza. Non provano nemmeno a capire.”
“Si chiama No.6.”
“Cosa?”
“Quella città si chiama No.6. Ho sentito qualcuno chiamarla così.”
“Chi?”
“Un viaggiatore. Ha detto di essere un cantore.” Nezumi aveva incontrato un gruppo di persone vestite di bianco mentre stava raccogliendo dei rami tra le lande deserte. Ognuno di loro aveva una borsa bianca in spalla.
Gli avevano detto che esistevano sei città-stato al mondo e che le persone si riunivano in questi luoghi e attorno ad essi per vivere. Tra loro, No.6 era la più bella e prospera, oltre ad essere la più isolata.
“Hai una bella voce,” gli aveva detto un bardo a cavallo. L’uomo aveva occhi color nocciola, lo stesso colore della terra nelle lande. “Una voce veramente stupenda. Se ti alleni, potresti diventare un cantante di prima categoria. Che ne pensi, ragazzino? Perché non vieni con noi?”
Nezumi avrebbe mentito se avesse detto che non era per nulla interessato a quell’offerta.
Avrebbe potuto viaggiare per il mondo, con gli strumenti e le canzoni come compagni. Libero dall’odio, libero dal peso dei suoi ricordi, avrebbe cantato, recitato e danzato quanto desiderava.
Nezumi era profondamente allettato da quell’idea.
Aveva provato una sorta di piacere come se avesse immerso il proprio corpo in una corrente fredda e cristallina. Eppure, aveva fatto un passo indietro e scosso la testa.
Non poteva andarsene e abbandonare la vecchia. E più di ogni altra cosa—non poteva andare avanti a vivere e lasciare quella città priva di punizione. Non aveva intenzione di gettare via quell’odio.
“Capisco. È un vero peccato,” aveva mormorato il viaggiatore curvandosi oltre il cavallo. “Sono sicuro che ci rincontreremo un giorno. Tu sei come noi. Non sei stazionario—sei un tipo errabondo. Giusto per fartelo sapere, io ho buon occhio nel vedere le persone per come sono realmente,” aveva riso.
Le sue lunghe dita, adatte a suonare strumenti, avevano toccato il collo del cavallo.  L’animale aveva nitrito. Si era poi allontanato al trotto su quelle gambe grosse e robuste.
Il gruppo era scomparso rapidamente dietro la nube di polvere e sabbia che esso stesso sollevava.

“No.6,” la vecchia mormorò fissando il fuoco. “Il nome non ha importanza. Quella città, e tutti quelli che vivono al suo interno, cadranno un giorno. La Dea della Foresta non li perdonerà.”
I ramoscelli bruciavano. Il profilo della donna era illuminato nell’oscurità dalle fiamme.
“La Dea della Foresta non li perdonerà. Arriverà il giorno del giudizio anche per loro.”
“Significa che non dovremo portare a termine la nostra vendetta?” Possiamo liberarci di questo odio, del ricordo di quell’urlo?
“No, io non dimenticherò,” disse la vecchia. “Io non getterò via questo odio. Potrebbe essere…troppo tardi per me. Sono diventata troppo vecchia. Probabilmente non vivrò abbastanza per vedere con i miei stessi occhi la punizione della Dea. Ecco perché mi premierò da sola. Se potessi almeno accoltellarne uno—”
E la vecchia aveva mantenuto la parola. Un coltello nella mano, era corsa contro il sindaco, venuto a far visita al Penitenziario per un’ispezione. La donna non era riuscita nemmeno a strappargli i vestiti, tanto meno accoltellarlo.
Le spararono al petto, il coltello ancora in mano, e morì tra le braccia di Nezumi che era corso al suo fianco. Era quasi un miracolo che non fosse rimasto ucciso anche Nezumi con lei.
Fu catturato e buttato nel sottosuolo, dove incontrò un uomo che si faceva chiamare Rou. Forse Rou si era tenuto in contatto in qualche modo con la vecchia, perché sapeva ogni cosa riguardante Nezumi e lo aveva accettato senza riserve.
“Ti trasmetterò tutto il mio sapere,” aveva detto Rou. Assomiglia a quello che mi disse la Dea, aveva pensato Nezumi ironicamente.

Tutto ciò accadde due anni prima di incontrare Shion.

Nezumi smise di guardare in alto nel cielo. I raggi del sole stavano perdendo rapidamente la loro forza ed erano sul punto di affievolirsi definitivamente. Le giornate erano brevi nel West Block e la notte arrivava presto. Da quando il cielo era stato oscurato dalla figura incombente di No.6, il sole irradiava quelle terre solo per poco tempo.
No.6 dominava anche i cieli. Faceva a pezzi e divorava un mondo che non doveva appartenere ad alcuno.
Nezumi si sfiorò la schiena. Ancora adesso, a volte, gli martellava. La bruciatura pulsava come ad intimargli di non dimenticare mai.
Non dimenticare. Non dimenticare. Non dimenticare. Non dimenticare. Non dimenticare. Non dimenticare.
Non dimenticherò. Non ci riuscirei, anche se volessi.
Disprezzava No.6. Aveva ucciso suo padre, sua madre e la vecchia. Aveva dato fuoco alla foresta e aveva massacrato il Popolo della Foresta. Non aveva mai esitato a schiacciare vite umane sotto i suoi piedi se significava ottenere ancora più prosperità per se stessa. Non desiderava una coesistenza, ma una sua supremazia assoluta le cui fondamenta erano costruite su innumerevoli cadaveri.
Solo la sua prosperità, la sua felicità, il suo piacere. Era una creatura mostruosa.
La detestava.
Quel vortice d’odio quasi lo soffocava. Eppure—
Shion viveva in quella città.
Per Nezumi, ogni singola cosa a No.6 era stata bersaglio del suo odio. Non solo odiava i capi, ma anche i semplici cittadini di quella città che trascorrevano delle vite tranquille ma immeritate, ignoranti e senza mostrare nemmeno la volontà di informarsi a riguardo.
Odio? Davvero? Allora riuscirai ad odiare anche Shion?
Nezumi se lo chiedeva spesso.
Riuscirei a convincermi ad odiare Shion del tutto?
Ogni volta era una domanda spiacevole. Quel gusto amaro che gli si diffondeva in bocca era sufficiente a paralizzargli la lingua.
Il mio odio è così forte e la mia ferita brucia così dolorosamente, eppure…
Iniziò a camminare, ma si fermò nuovamente. Poteva sentire una melodia. Tese le orecchie. Riusciva a sentirla. Nezumi accelerò il passo. Girò un angolo e fu accolto da una pianura punteggiata da pietre e macigni. Al limitare di questa zona si trovava un teatro—il luogo in cui lavorava.
Un uomo era seduto sopra un masso bianco, suonando uno strumento a corde. Sia il lungo cappotto che i pantaloni, il cui orlo arrivava alle caviglie, erano sbiaditi e sporchi. Era impossibile dire di che colore fossero prima. Ma lo strumento tra le sue mani era talmente splendido da catturare l’attenzione.
Quattro corde erano tese su un oggetto a forma di melanzana e il corpo centrare catturava i raggi del debole sole serale, scintillando. Se strizzava gli occhi, Nezumi riusciva a vedere che su di esso erano incisi ghirigori intricati e che era decorato con leggeri tocchi d’oro, d’argento e di grigio metallizzato.
Emetteva un suono particolare. Calmo pur essendo limpido, il che trasmetteva una sensazione nostalgica. Accarezzava dolcemente la tristezza che risiedeva in fondo al cuore di ognuno. Ma non turbava quella malinconia—la leniva delicatamente.
L’uomo alzò lo sguardo. I loro occhi si incrociarono. Era quel bardo? L’uomo che lo aveva invitato a seguirlo nel suo viaggio molto tempo prima? Sembrava potesse esserlo, eppure appariva anche come un completo estraneo.
L’uomo colpì le corde con forza. Nacque una melodia.
Nezumi intonò una canzone seguendo le note. Non poteva farci nulla. La musica dell’uomo e la voce di Nezumi si fusero insieme, armonizzandosi insieme piacevolmente. Come un cielo che cominciava a schiarirsi, la canzone, che ricordava un fiore mentre sbocciava, procedeva scorrendo dolcemente quasi fosse un largo fiume sotto un cielo ceruleo.
Era una sensazione confortante.
Il corpo di Nezumi si sentì più leggero mentre un venticello lo investiva. Trasportato dal vento, raggiunse le vette più altre del cielo.
Le mani dell’uomo si fermarono. Anche Nezumi chiuse la bocca.
“Non fermatevi,” disse una voce femminile.
“Continua a cantare,” aggiunse quella di un uomo.
Una piccola folla di gente si era formata attorno ai due.
Non mi ero neppure accorto di un numero così elevato di persone. Per un istante, Nezumi sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Di solito era particolarmente sensibile ad ogni presenza intorno a lui. Persino il rumore dei passi di un singolo bambino era sufficiente a innescare una sua reazione. Si metteva in allerta anche al suono del rotolio di una pietra. Altrimenti, non avrebbe potuto sopravvivere. Se doveva esserci un’eccezione, quella era Shion. La presenza di Shion era l’unica su cui perdeva la presa a volte. Per qualche ragione che non riusciva a capire, non percepiva Shion.
“Fateci sentire di più.”
“Canta, canta!”
“Fateci sentire di nuovo quella canzone!”
L’uomo guardò Nezumi e sogghignò. “Che ne dici, ragazzo mio? Te la senti di cantare ancora?”
“Nah, credo che il mio tempo sia scaduto. C’è quella rottura del mio capo.”
“Ehi, Eve!” fu afferrato per un braccio.  Nezumi si voltò e si liberò abilmente dalla presa.
“Salve, Manager. Di fretta come al solito, vedo.”
Il direttore di scena, vestito con una giacca e un papillon rossi, piazzò entrambe le mani sui fianchi e divaricò le gambe. Sembrava essere arrivato al culmine del disappunto.
“Cosa ti salta in mente, cantare in un posto come questo? Queste persone non hanno pagato nemmeno un centesimo! Non so proprio cosa tu stia facendo, metterti a cantare per gente che non è neanche nostra cliente. Ridicolo…Cosa? Cosa c’è di tanto divertente?”
“No. Mi stavo solo chiedendo se anche lei non ne fosse rimasto ammaliato, Manager.”
“Cos—non dire stupidaggini!” farfugliò il direttore. “Sono venuto qui solo per dare un’occhiata, dato che ci stavi mettendo così tanto ad arrivare. E ti ho trovato qui, a fare questo tuo simpatico concertino all’aperto. Fai del lavoro che ci faccia incassare dei soldi, ti conviene.”
Il direttore arricciò le estremità dei suoi baffi a manubrio1, poi si voltò verso l’uomo e alleggerì l’atmosfera mostrando un sorriso mellifluo.
“Dica, signore, lei ha un modo di suonare decisamente suggestivo. Che ne direbbe di venire a lavorare con me? Con le sue melodie e la voce di Eve, sono certo saremmo sulle bocche di tutti in città. Attireremmo una gran ressa di gente.”
L’uomo scosse la testa, in silenzio, in segno di diniego.
“Vorrei che ti rivolgessi a me in quel modo.”
“Eve, non dire cavolate,” sbottò il direttore. “Ogni volta ti pago una grossa somma di denaro.”
“Ah, davvero? Dev’esserci un abisso tra la tua percezione di ‘grossa somma’ e la mia.”
L’uomo si alzò silenziosamente. Si avvicinò a Nezumi e gli sussurrò nell’orecchio.
“Anche tu sei il vento?”
Vento?
“Un vento che soffia su queste terre a suo piacimento. Non trova dimora né pianta le proprie radici in un sol luogo. Esattamente come noi.”
Nezumi fissò l’uomo negli occhi. Erano azzurri. Possibile che fosse lo stesso viaggiatore?
“Tu canti, noi suoniamo,” continuò. “Questo è ciò che siamo. Ma per quale ragione indugi in questi luoghi? Perché non sei libero, come il vento? Cos’è che ti ha intrappolato e che ti trattiene qui?”
L’uomo si ritrasse. Colpì una sola corda. Poi ripose lo strumento nella borsa e se lo mise in spalla.
“Sarà meglio che ti liberi al più presto, ragazzo mio.”
Nezumi non riuscì a trovare una risposta. Si limitò a guardare l’uomo allontanarsi.

Cos’è che ti ha intrappolato e che ti trattiene qui?
Sarò in grado di spezzare queste catene? Riuscirò a rompere le catene del mio odio? È Shion colui che mi tiene legato? Potrò essere libero?
Un giorno, sceglierò di vivere in quel modo.
Quel giorno arriverà.
Allora sarà un addio, Shion. E un addio, No.6.

“Andatevene a casa, andatevene! Se volete sentire Eve cantare, tornate a teatro con del denaro. Ci  sarà un gran concerto stanotte!” La voce roca del direttore risuonava tra la folla.
Nezumi restò immobile mentre il vento gli passava attraverso, carezzandogli i capelli.


-- END OF CHAPTER --

Shion e Nezumi - Official Art by toi8

Note:
(1) Baffi a manubrio: Magari voi sapete come sono, ma io ho dovuto cercarne un'immagine perché non sono un'esperta di baffi, sinceramente, e quindi non avevo la più pallida idea di come diavolo fossero. Quindi, per chi non ce l'ha presente, ecco com'è questo tipo di baffi. Ma forse questa è una loro rappresentazione più fedele alla realtà. ;)


1 commento:

  1. Effettivamente Nezumi deve essere libero come il vento!
    Ce lo vedo molto come girovago in una compagnia itinerante, vestito con abiti colorari e con i capelli al vento...
    Magari con un compagno meno schizzato di Shion eh!
    Grazie per averlo tradotto!

    RispondiElimina